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IL PRINCIPE DI HOMBURG Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 maggio 1997
 
di Marco Bellocchio, con Andrea di Stefano, Barbara Bobulova (Italia, 1997)
 
Marco Bellocchio è sempre stato il cineasta dell'invenzione, dell'intuizione registica. Tutto, nella sua carriera in chiaroscuro, a partire da quell'esordio di sogno che fu I PUGNI IN TASCA gli è riuscito nella rappresentazione dei confini fra ragione e follia, fra sogno e realtà. E nella descrizione della passione: quale rivolta irrazionale nei confronti del potere e della violenza. Tutto gli è rovinato invece addosso quando ha cercato di spiegare, di dissertare sulle ragioni di quei confini.

La visione di questo suo ultimo IL PRINCIPE DI HOMBURG ci lascia al tempo stessi ammirati, ed irritati. Ammirati, nel constatare intatto uno dei veri, autentici sguardi del cinema italiano dell'ultimo ventennio. Irritati, nel constatare come l'autenticità di questo sguardo sia stato cosi a lungo guastata dalla mai abbastanza deprecata associazione del regista con lo psicanalista Massimo Fagioli.

Perchè qui, lo avrete compreso, è del Bellocchio pre-psicanalisi-spiegata-al popolo che si tratta. Anche, anzi proprio perchè adatta un classico: il dramma che Heinrich von Kleist terminò nel 1811, poco prima di darsi la morte. Perchè sceglie la misura, il ritegno esaltante di uno stile dominato magistralmente: per esaltare la drammatica energia di un testo. Cosi come il turbamento, le contraddizioni, le grandezze d'animo e la fragilità del più intimo dei suoi personaggi.

Della vicenda di Kleist (il principe di Homburg dissobbedisce al suo sovrano, iniziando la battaglia prima del segnale convenuto; conduce i soldati alla vittoria contro gli Svedesi, ma l'Elettore del Brandenburgo è "costretto" a condannarlo a morte) Bellocchio fa suoi i temi che gli appartengono da sempre: la rivolta contro il padre, il conflitto nei confronti del dovere, il dubbio fra il sogno e la ragione.Il protagonisti di HOMBURG (che il regista ha voluto inediti cinematograficamente: Andrea di Stefano, la slava Barbara Bobulova, l'asciutto, efficace Toni Bertorelli) sono situati in una sorta di nebulosa: quelli dello stato sonnanbolico del Principe, che lo situa drammaticamente nei confronti del realismo politico dell'Elettore. Ed in questa incerta dimensione fra opposte verità che lo spettatore percepisce come altrettanto autentiche, Bellocchio si muove con una facilità indimenticabile, che gli permette la riflessione morale, l'analisi poetica, fino alla commozione poetica.

Come nel cinema vero, tutto si costruisce sulla scrittura. Che si tratti di pennellare con pochi tratti una battaglia, o di abbandonarsi ai ritmi esausti delle divagazioni oniriche, sono i primi piani tenuti con le focali lunghe che isolano ammirevolmente i personaggi: quasi obbligandoli a svelarsi. O gli squarci di luce nel buio della lunga notte, che illuminano di ragione la solitudine delle passioni. L'esplosione, in tanta misura, dei suoni, delle ondate musicali vengono allora ad infrangersi contro la barriera splendidamente disciplinata delle immagini.


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